sabato 23 aprile 2016

Irish Butter Petticoat Tails_from the Emerald Isle to the MTChallenge Community whith love!




Premessa

Prima di iniziare a leggere questo post è importante che sappiate che esso per me rappresenta un tributo d'amore. E come tale potrà sembrare eccessivo, ma, soprattutto, smodatamente lungo.Ho pensato che la sfida lanciata da Dani e Juri di Acqua&Menta fosse l'occasione ideale per parlarvi di un prodotto poco diffuso qui da noi in Italia, ma ricco di saperi, di credenze, di creatività. Ho pensato di parlarvi di burro irlandese e  della frolla sablée più semplice che esista, la 3:2:1 senza uova, lo SHORTBREAD.
Spero mi  scuserete se risulterò noiosa o, ancora una volta, ripetitiva...

In seconda battuta, l'aspetto del mio Shortbread :lo so che non ha proprio nulla di artistico ma, sapete, è stato realizzato nella cucina di un'ostello, con stampo una padella senza manico e cotto in un forno di cui è meglio tacere. Perciò, per favore, abbiate pazienza se è BRUTTINO. 

Terzo. Io non avevo né bilancia né cups. Perciò mi sono arrangiata col cucchiaio da zuppa, sperimentato per lungo tempo in passato anche su ricette complesse. Riporterò, quindi, anche questo tipo di misurazione.

E questo è il mio secondo contributo per l'MTC n.56!

 
 
Proprio quattro giorni fa avevo messo in ammollo l'ultima scatola di marrowfat peas reduce in dispensa.  Li desideravo tanto.
Li lascio lì tutta la notte, coperti dalla solita mezza pinta ( di Hoara's rubata in un pub) d'acqua bollente e le tavolette di bicarbonato accluse alla confezione.


Me ne vado a letto tranquilla e la mattina dopo li sciacquo per benino e li metto a fuoco stra-minimo con una pinta e mezzo di altra acqua bollente. Timer a venti minuti e via a finire quel lavoro che è urgente! Ma uno strano odore proveniente dalla cucina disturba i calcoli numerici in corso.
Dopo un primo momento attribuito alla suggestione, mi avvio a grandi passi verso l'altra parte della casa e...cosa vedo??? Dalla pentola sono fuoriuscite una manciata di bucce senza contenuto e un po' d'acqua di cottura, eppure il coperchio è ancora al suo posto e non sembrano esserci stati segni di "eruzione".


E' a quel punto che compare il Signor Latte Condensato, con sguardo accigliato e baffi più arruffati che mai. 
Mi pare di aver sentito dei piccoletti rotolare allegramente per le scale...che ne avessi perso qualcuno?  Poi nota le bucce vuote e Per tutti i folletti, se ne vanno anche in giro nudi, oltre a non avvertire!!!
Lo guardo dritto negli occhi e vedo la sua tristezza. Poi un'idea. Quei polpetti sono dei burloni, mi dico, che abbiano lasciato qualche indizio sulla fuga??
E ti recupero la scatola dalla pattumiera, alla ricerca di ispirazione. Ma certo! Guardo dentro e ci vedo un rotolino di carta quadrettata chiuso con un fiocco verde. 


Mmmmmm, caro Signor Latte Condensato, ho un presentimento. 
Quale, mia cara? 
Penso di sapere dove sono diretti. Così tiro fuori il messaggio, lo srotolo e...ecco, lo sapevo. 


Sapete cos'è quest'indirizzo?? E' l'ostello che per tanti mesi è stata la mia casa quando sono arrivata la prima volta in Irlanda e che mi ha dato la possibilità di mantenermi agli studi lavorandoci dentro. E' lì che ho conosciuto i piccoli Mushy Peas.

Ed ora che si fa? chiedo al mio amico, Si parte in missione per l' Isola di Smeraldo! 

Non so cosa sia passato per la mente dei miei minuscoli amici, né perché Mister Lattina provasse tanta frettolosa agitazione, ma io ho sentito che era arrivato il momento di tornare a casa.

Ed eccomi qui Mondo, oggi Mappete che buono! trasmette dalla Terra delle Fate e dei Folletti!...e dalla cucina di un'ostello ;)



IL MISTERO DEL BURRO  

C'erano due fratelli che avevano una piccola fattoria con caseificio. Erano onesti e industriosi, lavoravano sodo ma nonostante le loro fatiche riuscivano a mettere da parte appena il sufficiente per tenere insieme il corpo e l'anima.
Un giorno, mentre erano intenti alla preparazione del burro, il manico del pestello per la zangola si ruppe; poiché non si riusciva in alcun modo a ripararlo uno dei due fratelli staccò un ramo da un albero di sambuco che cresceva vicino alla casa e lo legò al pestello in guisa di manico. Quindi proseguirono con la lavorazione, ma con loro grande sorpresa il burro diventò così denso e abbondante che tutte le brocche della casa furono ben presto piene e ancora altro ne avanzava. Lo stesso successe anche nelle successive lavorazioni del burro. In tal modo i due fratelli divennero ricchi, potevano riempire il mercato con il loro burro e ancora ne restava per soddisfare ogni richiesta.
Alla fine, essendo uomini onesti e retti, cominciarono a temere che ci fosse qualche stregoneria in tutta la faccenda e che stessero facendo un torto agli altri allevatori con quello strano modo di estrarre il burro. Così decisero di recarsi da un esperto di magia, gli raccontarono tutta la storia e chiesero il suo consiglio.
"Sciocchi uomini,", disse l'esperto ai due fratelli "perché siete venuti da me? Così facendo avete rotto l'incantesimo, non avrete più le brocche stracolme di burro. La vostra fortuna se ne è andata, dal momento che avete voluto sapere la verità. Non stavate ingannando i vostri vicini; tutto ciò che facevate era giusto ed equo, vi dirò come è accaduto questo prodigio. Molto tempo fa le fate, mentre passavano attraverso la vostra terra, erano intente a darsi battaglia tra di loro e non avendo altre armi si gettavano addosso manciate di burro, che si andò a depositare in grandi quantità tra i rami di un albero di sambuco, perché era il periodo intorno al Primo Maggio, quando il burro è abbondante. Questo è il burro che avevate ricevuto in dono, perché l'albero di sambuco ha un potere sacro che è riuscito a preservarlo fino ad ora, e ve l'ha donato attraverso il ramo che avete utilizzato come manico dello strumento per girare il latte. Ma ora l'incantesimo è spezzato, perché avete portato alla luce il mistero, non avrete mai più burro dall'albero di sambuco".
I due fratelli tornarono a casa piuttosto tristi. Da quel giorno il burro tornò alle quantità normali, ma i due avevano accumulato talmente tanto denaro da essere soddisfatti. La loro fattoria era piena di provviste e le loro vite erano prospere, perché erano stati in grado di gestire onestamente tutta la faccenda, e la benedizione del Signore era su di loro.

Jane Wilde "Fiabe e Leggende d' Irlanda", 1887



Il burro è il grasso da cucina alla base dell'alimentazione di molti popoli.
Il latte e i suoi prodotti sono sempre stati parte fondamentale della dieta irlandese. 
Le mucche da latte avevano un significato speciale per gli irlandesi antichi: erano portatrici di nutrimento, ovvero di VITA e misura della ricchezza. Tant' è che la gran parte dei vitelli maschi, tranne quelli da riproduzione o per arare la terra, erano uccisi alla nascita, o comunque separati dalle mamme per garantire la disponibilità al consumo umano di quanto più latte possibile.
 
Nella letteratura irlandese antica i santi e i bambini di lignaggio nobile venivano battezzati nel latte. 
 
Parliamo di una società in cui non veniva ancora battuta moneta.
I beni e la reputazione di un Re o di un guerriero venivano misurati in base alle sue capacità e al suo coraggio nel rubare nei pascoli del suo nemico durante le razzie e la guerra. Il "creach" o razzia di bestiame era un fatto normale della vita quotidiana: rappresentava un'istituzione sociale, un atto di nobiltà che ci si aspettava dai re, dovere e privilegio di ogni guerriero.

Tutti gli uomini con uno scudo per difendersi e adeguati per una battaglia devono andare alla razzia (Táin Bó Cúalnge_La razzia di bestiame di Cooley).


Il burro irlandese si presentava, fino alla metà del secolo scorso, fortemente salato. Il sale incideva sulla conservazione di un prodotto tanto deperibile. Ma questo, ovviamente, non bastava.
Tra il III e il XIX secolo d.C. il burro è stato imballato in contenitori speciali e sepolto in torbiere. In assenza di conservanti artificiali o di refrigerazione, utilizzando le caratteristiche della torba  il burro fatto nella stagione estiva poteva essere conservato per la stagione invernale. Spesso, comunque, era rancido e veniva aromatizzato con aglio (il garlic bread non vi dice nulla??)


Uno degli aspetti più interessanti di tutta la storia è questo.
Intorno al 1720 vennero introdotte delle leggi in Irlanda per regolare il commercio del burro.
Alle città portuali venne richiesto di mantenere degli edifici in cui tutto il prodotto offerto per la vendita potesse essere pesato: le botti contenenti burro dovevano essere segnate o marchiate, in base al loro peso, sotto lo stretto controllo di funzionari pubblici.

A Cork i mercanti locali andarono addirittura oltre.
Nel 1769 istituirono il Mercato dl Burro, controllando quantità e tipologie di prodotto: con questa operazione introdussero un sistema unico di controllo di qualità che garantì al burro di Cork una buona reputazione a livello internazionale.
Era l'inizio del più grande mercato di burro del mondo. La capacità della popolazione locale consentì di imballare il prodotto in modo da poter farlo viaggiare in tutto il mondo e in tutti i climi. Tutte le botti venivano controllate prima della spedizione al produttore e venivano controllate nuovamente alla restituzione per verificare che l'imballaggio fosse adeguato. Gli ispettori controllavano le banchina del molo per verificare che non venissero spedite delle botti contraffatte. Per agevolare i viaggiatori dalle zone più lontane il Mercato del burro era aperto giorno e notte. Il mercato era suddiviso in quattro sezioni: A,B,C e D. Gli ispettori del mercato tiravano a sorte ogni mattina per decidere che sezione avrebbero controllato quel giorno. Ciò garantiva che nessun produttore o commerciante potesse sapere quale ispettore avrebbe controllato il loro burro.
In tal modo si evitava la corruzione.
Il Mercato del burro di Cork regolava anche il prezzo delle varie qualità di burro che passavano dal mercato. Gli acquirenti dovevano comprare diverse qualità di burro per garantire che anche le qualità più basse venissero vendute. Ogni mattina alle 11:00 il Comitato dei Mercanti dichiarava i prezzi per la giornata.

Nella seconda metà del diciannovesimo secolo vennero introdotti nel processo di zangolatura dei macchinari mossi da animali o dall'acqua.

Alla fine del diciannovesimo secolo il cambiamento dei gusti, i mercati in declino e la nuova tecnologia danneggiarono gravemente l'importanza del Mercato del burro di Cork. I clienti stranieri, grazie alla refrigerazione, iniziarono a poter mangiare il burro fresco, la cosiddetta "butterine" olandese (una miscela di
margarina e burro), il burro mescolato e quello leggermente salato francese, che iniziarono a sostituire il burro molto salato irlandese nei mercati esteri.
Un imballaggio armonioso, più piccolo e dei pesi più esatti, un colore, una struttura e un sapore migliore vengono preferiti dai consumatori britannici. Il burro tradizionale di Cork nei 'firkin' di certo non poteva soddisfare tali caratteristiche, anche se gran parte del burro continentale dal 1870 in poi quasi sempre ci riuscì.
Il sistema del controllo di qualità rigoroso che rappresentò fin dall'inizio un punto di successo per il Mercato del burro di Cork divenne così un ostacolo al cambiamento. Nel 1884, quando il Comitato dei Mercanti venne sostituito da un Consiglio di Fiduciari, il mercato tradizionale del burro del Munster aveva già perso molto terreno rispetto ai mercati del burro fresco, che aumentavano sempre più nelle cittadine limitrofe.

I produttori che prima facevano il burro per venderlo ora erano invitati a portare il latte ai burrifici, dove venivano utilizzati dei nuovi processi di produzione del burro per soddisfare i gusti moderni.
Delle iniziative coraggiose da parte di persone come Horace Plunkett portarono alla creazione di burrifici organizzati in cooperative in tutto il Paese. Nel 1900 c'erano circa 190 burrifici di questo genere nell'intera Irlanda.
Il mercato di Cork chiuse le porte per l'ultima volta nel 1924.
E cosa hanno fatto a questo punto i nostri amici del Nord? Ebbene, sono passati al grado successivo.

Nei primi decenni del ventesimo secolo, si iniziarono a intravedere i segnali del futuro successo dell'industria casearia irlandese. La sua importanza nei confronti dello sviluppo economico dello Stato venne riconosciuta nella Legge sull' Istruzione universitaria del 1926: erano necessari dei professionisti esperti per garantire il suo futuro sviluppo e, per questo motivo, si considerò che un passo vitale in questo senso era la creazione di una struttura per la formazione di studiosi del settore caseario.
Venne perciò creata nello stesso anno una Facoltà di Scienze Casearie presso lo University College di Cork. In un Istituto apposito vennero costruiti laboratori, un burrificio sperimentale, una biblioteca e delle aule per le lezioni, per ospitare una nuova generazione di studiosi del settore caseario in Irlanda.
Il costo totale del progetto fu di 50.000 sterline. Vennero acquistate anche due aziende agricole.
Fin dall'inizio degli anni 30, i giovani uomini e donne che uscivano da questa Facoltà iniziarono a svolgere un ruolo fondamentale nello sviluppo delle industrie casearie e di elaborazione alimentare dell'Irlanda. La Facoltà si è anche costruita una fama a livello internazionale per la sua ricerca.

A partire dal 1960 il prodotto caseario irlandese torna alla ribalta sul mercato europeo prima, mondiale poi.

Nel 1961 il governo irlandese crea l'Irish Dairy Board che, assieme all'agenzia pubblicitaria americana Benton & Bowles, crea la marca Kerrygold per il burro irlandese.

Con l'entrata nell'Unione Europea nel 1973, l'Irlanda, che aveva una grande produzione di latte ma una
popolazione relativamente piccola, poté esportare gran parte del suo burro a prezzi garantiti sovvenzionati dalla UE. Questo flusso di denaro consentì di modernizzare la società rurale dell'Irlanda.
A seguito di una pesante razionalizzazione avvenuta nel corso degli anni '80,  oggigiorno l'Irish Dairy Board commercializza il burro irlandese in tutto il mondo con il nome Kerrygold (che prende il nome della razza bovina autoctona irlandese Kerry sostituita, insieme all’altra razza tradizionale la Dexter, dalla recente Frisian).
(info tratte dal sito ufficiale del Cork Butter Museum _ http://www.corkbutter.museum/


Irish butter Petticoat Tails

(per uno shortbread di circa 22_24 cm di diametro)



12 cucchiai da zuppa colmi di farina 00 addizionata all'1% con bicarbonato,
ovvero 297 g di farina 00 + 3 g di bicarbonato di sodio

200 g di burro irlandese (81% di materia grassa)

4 cucchiai da zuppa colmi di zucchero a velo,
ovvero 100 g 


Preriscaldiamo il forno a 170°C in modalità statica ( o a 150°C in modalità ventilata).
Sabbiamo il burro  con la farina e lo zucchero a velo, lavorando rapidamente con la punta delle dita fino ad ottenere un composto granuloso.
Trasferire l'impasto su un foglio di carta forno e dargli una forma circolare, mantenendo uno spessore di circa 7-8 mm.
Pizzicare i bordi con la punta delle dita per creare la decorazione e suddividere il megabiscotto in otto spicchi con l'aiuto di un coltello a lama liscia. Praticare su ciancun spicchio dei fori con i rebbi di una forchetta e infornare su una placca o in una teglia per circa 30-35 minuti, o comunque finché i bordi saranno leggermente dorati ( deve rimanere molto chiaro!)
Sforniamo, ripassiamo con la lama del coltello lungo i tagli praticati precedentemente e lasciamo raffreddare completamente su una gratella prima di consumarlo.
Si conserva per almeno una settimana ben chiuso in una scatola di latta.



Note
  • Su questo blog c'è già un'altra ricetta di shortbread che funzionerà certamente meglio lavorando con prodotti italiani: infatti, non solo il burro irlandese è decisamente più saporito del nostro, ma anche la farina contiene percentuali più elevate di amido e una piccola parte di bicarbonato di sodio. Perciò regolatevi di conseguenza. 
  • Il burro irlandese è giallo. Questo dipende dall'alimentazione delle mucche, in questo caso più ricca di beta-carotene. Inoltre è morbido e uniforme al taglio, non si scheggia e non trasuda componenti acquose.


  • La storia dello shortbread non è proprio quella che ci si aspetterebbe. Ma se voleste leggerla, ecco, potrete trovarla proprio qui (!!!).

martedì 12 aprile 2016

Frollini all'olio di riso con confettura di lamponi al profumo di mandarino


Questa fissa della perfezione possibile è un GROSSO GUAIO
E in effetti già il definirla possibile porta con se un mare di conseguenze.
Ammetti, cioé, che esiste. E tenti di perseguirla con ogni mezzo.
D'altronde sei un architetto, e ti hanno insegnato che tecnica e creatività sono un binomio inscindibile. E ben ponderate, al momento giusto e con i presupposti cucitigli addosso... si, portano alla perfezione di quell'attimo in cui la mente ha incontrato le mani. E la tua agendina di fogli bianchi di carta riciclata deve fare l'aggiornamento al nastrino segnalibro

Eppure ti avevano avvertito. 
Ti avevano ben chiarito le idee sul fatto che quella sensazione sarebbe durata non più di un respiro. Perché TUTTO è PERFETTIBILE e nulla funziona a prescindere, in prima battuta a prescindere dallo stato del tuo cervello.

Lungo questa strada, dopo aver consultato tutti i miei quaderni...
...la blogger che in fatto di dolci tutto/i conosce...
...e addirittura lui...

mi sono guardata attorno.

Forse ha ragione Helga, forse loro possono aiutarmi.


Per essere originali bisogna prima di tutto essere profondamente ordinari.
Ok, ho capito.
La fortuna aiuta gli audaci, ma solo se sanno quello che fanno.
E io non lo so.
O meglio, non provo neanche a pensarci.
E poi mi lamento di essere seguita dalla famosa nuvoletta...

PAROLE NEL VUOTO.

E infatti entro in una di quelle fasi ansiogene che mi caratterizzano, accompagnata da reflussi paranoici. E qualcuno deve subirmi.
Poveri Dani e Juri, non sapevano in che brutto quarto d'ora si sarebbero cacciati proponendo i biscotti all'MTC n.56.
E allora via col FILO DIRETTO, UN MESSAGGIO DIETRO L'ALTRO, CHE HO LIBERA SOLO QUESTA GIORNATA dal lavoro per tutta la settimana a venire.
Ma avevo dimenticato che sono architetti anche loro.
Puoi mandarmi le foto?
No, purtroppo li ho già buttati nella spazzatura. Ti prego rispondimi qualcosa, per me è importante.
Allora, sono certa che funzioni, ho fatto e rifatto tutte le prove di resistenza. Le ho pure confrontate con i risultati minimi attesi e, in verità, hanno passato il test a pieni voti. Ho anche tenuto conto del contesto, tant'è che ve li ho proposti come schema base da cui partire e molti di voi mi avevano già dato il loro benestare diretto tempo fa! Di sicuro hai cambiato qualche parametro in opera. Quasi certamente uno ambientale, tipo un'alterazione di temperatura.
In tutto questo io continuavo a rimuginare sul forno di mia madre.
Lui alla pasticceria non ci aveva mai pensato, neanche per un momento, durante tutta la sua pur lunga vita.
E io non avevo imparato con lui.
Anche mia madre aveva rinunciato a fare pan di spagna e ciambelloni dopo poco che lo aveva accolto nella sua vita quotidiana.
Un OOOOOOOOOHHHHHH accompagna ognuna delle mie banali preparazioni dolciarie proprio per questo.  
Ed è sempre per colpa sua che ho smesso di tentare dolci che richiedono temperature strettamente controllate, purtroppo o non le contempla o non le mantiene, né è in grado di distrubuire più o meno uniformemente il calore al suo interno. Ad esempio, anche una semplice torta margherita va infornata solo su un lato, che dall'altro si brucerebbe in 20 minuti anche a temperatura minima!
 
Si è dato il caso, comunque, che proprio sulla frolla all'olio non fossi preparata.
Essendo allergica a nichel e cromo sin da piccola, avendo alterato interamente il mio metabolismo a furia di cortisone,convivendo con la lattasi in capsule o compresse da tanto tempo, avendo seri problemi relazionali con l'olio in genere - residui di disturbi i cui pilastri mi accompagneranno, credo, per tutta la vita - avevo sempre girato alla larga dal problema DOLCI CHE POSSO MANGIARE A VOLONTA'.

Perciò questa dei frollini (che poi sono in assoluto il mio dolce casalingo preferito insieme alle crostate!) è innanzitutto una sfida con me stessa, la mia coscienza contro le regole che si è data la mia testa.
Ecco perché ho deciso che mi cimenterò in tutte e tre le possibili varianti e di partire con la frolla all'olio, quella che posso mangiare a volontà. E ancor più di proposito non ho inserito nulla che possa interferire con tutti i miei problemi alimentari, a parte un pizzichino di lievito per dolci: niente cioccolato, né frutta secca, né latticini, né thé, niente farine integrali, di cereali vari (tutte contenenti nichel). Per tutto questo ben di Dio ho ancora le altre due ricette. Sempre che non decida di evitare per poterli mangiare anch'io senza ricorrere a troppi medicinali.
VEDREMO.
Intanto questo è il risultato migliore che sono riuscita ad ottenere dopo un primo tentativo davvero disastroso.
E rispecchia gusto e aspettative: l'olio praticamente non si sente, i frollini sono friabilissimi e con una struttura quasi fondente,  il profumo agrumato dei mandarini ci sta meravigliosamente, così come la sua accoppiata con la confettura di lamponi bio che avevo in casa.

Ringrazio ancora una volta Dani e Juri per le dritte e la pazienza dimostratemi, ma ancor di più per aver scelto proprio questo tema con tutte (per loro!) le ben note e previste conseguenze del caso:

ante 5 Aprile 2016
Come non sai fare la pasta frolla??!! Dai, è facile, ora ti spiego io ;)

post 5 Aprile 2016
O-mio-dio, e ora come si farà mai questa pasta frolla???
Ragazzi....aiuto!!!

A conferma che sto partecipando ancora una volta all'MTC, il numero 56 :)))


      

Frollini all'olio di riso con confettura di lamponi 
al profumo di mandarino



Per i frollini all'olio
 
150 g di farina 00 (W 170) + q.b. per lo spolvero
60 g di farina 0 di grano duro (NON LA SEMOLA)
40 g di fecola di patate
1 uovo + 1 tuorlo piccoli
90 g di olio di riso
125 g di zucchero a velo
1 g di sale fino
la scorza grattuggiata di un mandarino bio
la scorza grattuggiata di 1/2 limone bio
3 g di lievito per dolci
30 ml di succo di mandarino (circa)
 zucchero di canna finissimo q.b.

 Per la farcitura ai lamponi profumata al mandarino

100 g di confettura di lamponi
la scorza grattuggiata di un mandarino bio
1 cucchiaio scarso di succo di mandarino
 
 Zucchero a velo q.b. per spolverizzare 




In una ciotola mettiamo l'uovo, il tuorlo, il sale e le scorze grattuggiate degli agrumi. Mescoliamo bene con una frusta a mano [1] ed iniziamo ad aggiungere l'olio a filo per formare un'emulsione molto mobida [2] (attenzione in questo passaggio, perché un'aggiunta troppo frettolosa del grasso potrebbe "stracciare" le uova).
Incorporiamo all'emulsione ottenuta lo zucchero a velo [3,4].
Setacciamo insieme le farine, la fecola e il lievito e uniamoli al composto di uova - olio - zucchero [5] lavorando dapprima con un cucchiaio di legno [6], poi con la punta delle dita. Finiamo di lavorare unendo anche il succo di mandarino [7] .
Su un piano di lavoro leggermente infarinato [8] stendiamo la nostra pasta e ricaviamone tanti bicottini con le formine preferite. Io ho scelto di forarne la metà con uno stampino piccolissimo a mo' di occhi di bue.
Disponiamo i nostri biscotti su una placca rivestita di carta forno [9] e spolverizziamoli con poco zucchero di canna superfino. Cuociamo in modalità statica a 180°C (io per forza in modalità ventilata a 160°C)  per circa 13 minuti (i tempi e le temperature variano da forno a forno, perciò è impossibile quantificarli a priori in maniera del tutto esatta).
Sfrornare [10] e lasciar raffreddare su una gratella.
Nel frattempo mescolare la confettura di lamponi con la scorza e il succo del mandarino [11].
Con l'aiuto di una tasca da pasticceria [12] farcire i frollini accoppiandone uno pieno con uno forato.
Spolverizzare con lo zucchero a velo.   
 


lunedì 4 aprile 2016

Torta alla Guinness!


Era una freddissima mattina di dicembre.
Per la prima volta da quando ero lì il sole sembrava aver deciso di sparire completamente e dei soliti cinque  cambiamenti climatici quotidiani pareva non potesse esservi possibilità (?!).
Ma avevamo deciso di prenderci un giorno libero per andare a Phoenix Park, io e lui. Un pò di titubanza dovuta alla pioggia ci aveva fatto perdere le prime ore della mattinata a guardar fuori dalla finestra. Infine ci eravamo avventurati.
Arrivare a piedi a Phoenix park era già di per sé una passeggiata non indifferente. Avremmo dovuto predisporre la solita colazione al sacco. Si era dato il caso, però, che quella mattina fossimo entrambi assaliti da un'indolenza tanto profonda che a far qualcosa che richiedesse un seppur minimo impegno no, non ci pensavamo affatto.
Fu così che incontrai per la prima volta la porter cake, in uno Spar nei pressi di Four Courts, assalita dai crampi allo stomaco.
Nel vederla rimasi colpita da qualcosa che non avrei potuto spiegare e, senza pensarci su più di tanto finì impacchettata nella mia borsa. Veniva da una piccola produzione semiartigianale nei dintorni della capitale. Aveva l'aspetto delle cose buone di casa. Non era soffice, perciò sarebbe stato facile spezzarla con le mani senza fare la fine di Pollicino lasciando una scia di briciole in terra invece che inviarle dritte allo stomaco.
Un'insolita coltre nebbiosa e umidiccia ricopriva le distese erbose di Phoenix Park. Di quel verde così intenso, dei colori tutti non c'era nulla. Eppure, a guardar bene, resisteva al grigio la folta schiera dei giardinieri del parco, impegnati a riposizionare un gruppo di piante e a far buche per le nuove arrivate che avremmo ammirato nella tarda primavera del Maggio dublinese.
Aveva ricominciato a piovere, ma loro sembravano non accorgersene affatto. Continuare a camminare sotto la pioggia e controvento ci restituiva tuttavia un senso di libertà troppo spesso sedato e messo a tacere dalla fretta e dalle incombenze di tutti i giorni.
Fu così che finimmo in una radura nascosta vicino alla Tea House, sotto un'orchestra che aveva tutta l'aria di essere appena uscita da una vecchia pellicola cinematografica.
Tante volte vi eravamo passati accanto senza mai notarla, immersa com'era tra alberi secolari altissimi.
Ci sedemmo sul bordo rialzato della struttura, al riparo da un'imperturbabile pioggerellina. E, tra una chiacchiera e una risata avevamo già scartato il dolce e portatone un pezzetto alla bocca. Era molto più che buono...era straordinariamente buono! Era come un mix di sapori ancestrali, era un tutto che riusciva ad appartenere in eguale modo ad entrambi.
Fu proprio in quel momento, prima che potessimo comunicare l'un l'altro il nostro percepire quel cibo, che arrivò un pettirosso a condividere con lo spuntino. Così ci sembrò di poter racchiudere il significato della vita in quel solo, piccolo attimo di pura meraviglia.