giovedì 9 aprile 2015

Pizza dolce di riso


Ci sono ricette che non hanno tempo e fanno sorridere da lontano.
Ci sono profumi che possono farci sentire a casa anche quando siamo distanti e quel particolare significato è ormai solo nella nostra mente...e nel nostro cuore.
Questa è una di quelle.
E' una ricetta antica, fatta con gli ingredienti della primavera, i più semplici.
E mentre veniva preparata è riuscita a riportare la serenità sul volto del mio compagno di viaggio.
La dedica è per lui.

mercoledì 8 aprile 2015

Amore al primo morso: i tahini cookies!


Non so se amate la tahina...io la mangerei a cucchiaiate...se non fosse per la mia noiosissima allergia al nichel, la causa di tutte le mie sventure alimentari.
E non basta, c'è anche l'intolleranza congenita al lattosio! :(((

Ma io non mi arrendo!
E, constatato che alcuni cibi non posso neanche avvicinarli alle labbra che tutto il palato mi si spacca e sanguina, per altri mi concedo qualche piccola eccezione (munita di cortisone all'occorrenza).
La tahina è proprio una di queste eccezioni.
Certo, non posso attaccarmi al barattolo, ma un assaggino ogni tanto non me lo toglie nessuno :)))

Questi biscottini li feci per la prima volta un paio d'anni fa, non appena le ragazze dello Starbooks la pubblicarono sperimentando le ricette contenute nel libro Jerusalem di Yotam Ottolenghi e Sami Tamini. La cucina israelo-palestinese è una garanzia in fatto di gusto e per chi ama i sapori speziati come me ancora di più.

Questi cookies sono buonissimi, simili in consistenza e aspetto a quelli al burro d'arachidi ma, se possibile, resi ancora più buoni dall'aroma dei semi di sesamo tostati con cui è fatta la mia amata tahina e dal profumo della cannella.

Sono semplicissimi da fare e non richiedono molto tempo né particolari attrezzi da cucina.
In più si mantengono anche dieci giorni se conservati in una scatola di latta.

Il mio invito è quello di provarli, se ancora non lo avete fatto, vi assicuro che non ve ne pentirete;)

venerdì 3 aprile 2015

Piccidat' Castelluccese: il pane dolce di Pasqua dell'infanzia


Esiste una tradizione antica in quel di Castelluccio Inferiore e Superiore, paesini ridenti della Valle del Mercure, nel basso potentino, quadi a confine con la Calabria: quella del Piccidat', uno grosso pane dolce preparato puntualmente nel periodo pasquale. Il Piccidat' è qualcosa che mi riporta, ogni volta, tanto indietro nel tempo, ha per me sapore di casa e, soprattutto, di famiglia.
Da bambina mangiavo quello cotto a legna, impastato dalle sapienti mani di massaie autoctone dalla farina del mulino locale. Poi venne a mancare mio nonno e le cose cambiarono, e avere un pezzo di Picciddat' tradizionale divenne ogni anno più difficile. E qui, come sempre, intervenne mia madre, che si adoperò per ottenerne la ricetta da un'amica di mia nonna, anch'ella di Castelluccio, la signora Luisa. Tant'è che a casa mia ricomparve annualmente l'amato ed enorme pane pasquale.
Tuttavia il metodo di Luisa, pur essendo pedissequamente rispettoso della tradizione in dosi e ingredienti utilizzati, non riproduceva esattamente lo stesso odore antico di questa pagnotta a causa dell'utilizzo massivo del lievito di birra fresco e di un'unica fase di lievitazione direttamente in un grosso e alto stampo circolare.
Così ho consultato papà che mi ha dato qualche dritta sull'aspetto che avrebbe dovuto avere tradizionalmente. E ho messo a punto questo metodo, molto simile a quello usato da Raffaella qui, diminuendo il lievito di birra presente nella ricetta che Luisa aveva regalato a mia madre.
E questo è il risultato;)

giovedì 2 aprile 2015

Tradizioni a confronto: la pastiera di grano tra Salerno e Napoli


Dalle mie parti la pastiera non è affatto tradizionale. Qui a Pasqua si fanno i BISCOTTI, TANTI BISCOTTI, quelli a ciambella con il naspro e le freselline cotte con mandorle e pinoli.
ma mia madre la pastiera l'ha sempre fatta, quella col grano e rigorosamente enorme e preparata alla napoletana, senza crema.
Da piccola odiavo la pastiera per via dell'aroma ai fiori d'arancio: era troppo "dolce" per me.
Poi la rivelazione: una pastiera fatta in una casa di Napoli Centro Storico, prodotto delle mani di quell'ottima cuoca che era la nonna di Davide, donna instancabile e di ottima compagnia di un'altra epoca.
La sua pastiera era profumatissima di cannella e i fiori d'arancio non invadevano naso e palato, ma si armonizzavano col resto. Non ricordo esattamente quanta ne riuscii ad ingurgitare quella Pasquetta del 2010, ma da allora non rifiutai più a priori questo dolce dalle origini tanto antiche e dalla composizione ricchissima di significati.
La mia prima pastiera senza aiuti la feci tre anni fa seguendo la ricetta di Sal de Riso trovata su un numero del magazine La Prova Del Cuoco. Era buonissima. All'interno utilizzai le mie scorzette d'arancia al posto dei canditi industriali. Poi pian piano ho fatto qualche modifica, reinserendo anche il cedro candito tipico della mia zona (la celeberrima Riviera dei Cedri è qui a due passi).

La ricetta di De Riso, come tutte le pastiere dell'alto Salernitano, ha nell'impasto anche la crema pasticcera. Le pastiere che avevo assaggiato nelle migliori pasticcerie di Napoli durante gli ultimi due anni di Università, così come quella preparata dalla nonna di Davide, no. La pastira napoletana tradizionale ha, infatti, un sapore e una consistenza più rustiche, in cui il grano deve sentirsi davvero, un guscio di frolla allo strutto e un gusto molto speziato, meno morbido di quella che avevo copiato da De Riso.

Quest'anno ho voluto preparare entrambe le versioni: quella tradizionale con lo strutto e la cocozzata (i canditi di zucca) e quella più raffinata, salernitana, con la crema.

A voi la scelta ;)

P.S.:  Vi avverto prima del fatto che la pastiera è, come tutti i cibi antichi, cibo di pazienza: da quando inizierete a prepararla al momento in cui la degusterete dovranno trascorrere almeno  tre o quattro giorni. Sarà dura resistere, ma ne varrà la pena!

venerdì 27 marzo 2015

Gnocchi e ravioli...di ricotta!




"Mi sa che hai comprato troppa ricotta, tesoro...più o meno il doppio di quella che mi serve!"

Ecco l'esordio di mia madre dopo avermi spedito a comprare una ricotta grande, mi raccomando, perché voleva preparare il mio amato rustico di ricotta, quello che sfornava ogni settimana quando ero bambina.

E così, il giorno dopo, nel frigo c'erano ancora seicento, dico 600 g di ricotta freschissima!

"E quanti ravioli dovrò fare con tutta questa ricotta???" Panico. Si, perché a casa mia se dici ricotta vuol dire raviolo. Altri usi sono piuttosto sconosciuti, qui, se non per me che di tanto in tanto sperimento/riciclo con piccole quantità reduci, appunto, da una mangiata di ravioli. Senza dubbio, ravioli sarebbero stati, ma, senza dubbio ancor più grande, in quantità ragionevole, che di pasta fresca congelata se ne mangia già troppo spesso per via del poco tempo di tutti: quando si fa, se ne prepara sempre in più per le celeberrime "emergenze impreviste".

A quel punto rientra in gioco mia madre, ovvero un ricordo legato ad un piatto che faceva spesso quando io e mio fratello, bimbi pestiferi, di ricotta non volevamo proprio saperne. Gli gnocchi fritti di ricotta. Certo, io non li avrei fritti, che qui non hanno più l'età per mangiar fritto di lunedì, dopo i bagordi della domenica. 

E senza pensarci due volte mi sono messa all'opera ;)